lunedì 9 giugno 2008

UNA POLITICA ENERGETICA EUROPEA

Un politica energetica europea

Ma è possibile pensare ad un Europa con una propria strategia di politica energetica ?

L’Europa nasce come una comunità che prima di essere politica è stata pensata per essere un’istituzione atta a realizzare politiche economiche e di mercato. Via via la struttura istituzionale è andata a determinare una responsabilità politica su alcuni temi preliminarmente concordati tra gli stati aderenti.

I governi degli Stati membri dell’Unione europea dirigono le economie nazionali attenendosi a principi di politica economica stabiliti in ambito comunitario. Essi hanno concordato di coordinare le loro politiche al fine di garantire una crescita stabile utile alla creazione di nuovi posti di lavoro e per realizzare un’economia competitiva in tutta l’Unione, che salvaguardasse il modello sociale europeo e al tempo stesso tutelasse l’ambiente.

In tale ottica penso sia utile ragionare intorno ad un tema: una comune politica energetica.

Se l’Unione Europea ha già una propria politica unitaria su determinate aree di interesse generale sicuramente la politica energetica si inquadra tra quelle che meritano, forse più di altri temi, un ragionamento comunitario.

Oggi esistono in Europa aree fortemente interessate dalla presenza di centrali Nucleari con una concentrazione particolare in determinate zone (Francia, Inghilterra, Germania, Belgio ect). Sappiamo bene che la loro esistenza presuppone una certa percentuale di rischio che non riguarda però solo la geografia ristretta ove sono state realizzate ma invece una superficie bel più ampia che non conosce confini territoriali. Allora sarebbe utile pensare alla gestione del territorio in una chiave meno racchiusa in umbito nazionalista ma legata semmai ad una visione più globale del territorio europeo.

Perché non pensare sul come poter utilizzare le diversità geo-morfologiche del territorio europeo per generare una politica comune di sfruttamento delle risorse naturali cosicché evitare di costruire altre centrali ma utilizzare quelle già esistenti ottimizzandone lo sfruttamento e costruire altre forme di centrali di generazioni di energia da fonti alternative quali per esempio quelle legate al fotovoltaico, alla geotermia, alla trasformazione delle alghe in combustibile ?

Certo è insito nella diversa predisposizione e vocazione del territorio europeo. Il sud potrebbe essere un area naturalmente predisposta per avere una diversa capacita di contribuzione al sistema energetico attraverso la fonte energetica legata alla propria naturale esposizione al sole.

La integrazione dei sistemi di produzione di energia sembra essere l’unica utile a dare risposte serie, concrete ed equilibrate.

Sul sito internet ufficiale dell’Europa “http://europa.eu/pol/env/index_it.htm” , nella sezione ambiente, testualmente si legge: “La tutela dell’ambiente è essenziale per la qualità di vita delle generazioni presenti e future. La sfida sta nel combinare tale tutela con le esigenze di un’economia in continua crescita – in modo sostenibile e nel lungo periodo. A fronte dei cambiamenti climatici, questa sfida si acuisce ancora di più. La politica ambientale dell’Unione europea si basa sulla convinzione che norme ambientali rigorose stimolino l’innovazione e le opportunità imprenditoriali, come anche che le politiche economiche, industriali, sociali e ambientali debbano essere strettamente integrate”.

L’integrazione sembra essere quindi essere l’incipit di fondo della Comunità Europea.

Allora ragioniamo su questo modo di fare Europa.

In Europa ci sono attualmente 197 centrali nucleari che producono circa il 35% dell'energia elettrica complessiva utilizzata, ovvero quasi 170 gigawatt. Altre 13 sono in costruzione con un apporto previsto di circa 12 gigawatt. In Francia quasi l'80% dell'energia elettrica è prodotta da centrali nucleari; segue la Lituania con il 70%, il Belgio e la Slovacchia con il 56%, la Svezia con il 46%.

La fonte energetica primaria utile al funzionamento delle centrali termo-elettronucleari è ricavata, all'attuale stato dell'arte, dall'uranio, più precisamente dall'isòtopo U-235.

L'uranio è l'elemento chimico di numero atomico 92. Il suo simbolo è U.

È un metallo bianco-argenteo, tossico e radioattivo; appartiene alla serie degli attinidi ed il suo isotopo 235U trova impiego come combustibile nei reattori nucleari e nella realizzazione di armi nucleari.

L'uranio si estrae da due minerali: la Uraninite (detta anche Pechblenda) e la Carnotite.[1]
Riserve globali di Uranio
Quasi il 90% dei minerali contenenti uranio utilizzabile è concentrato in soli 10 paesi :
1. Australia 1143000 Tonnellate
2. Kazakhstan 816099
3. Canada 443800
4. USA 342000
5. South Africa 340596
6. Namibia 282359
7. Brazil 278700
8. Niger 225459
9. Russia 172402
10. Uzbekistan 115526
L'italia ha giacimenti per 6.100 tonnellate, sufficienti ad alimentare per 30 anni una sola centrale EPR, quindi il nucleare è inadatto a sviluppare indipendenza energetica in Italia e nella maggior parte degli altri paesi.
Densità energetica
La fissione di un grammo U-235 produce 68 GJ di energia termica, questo dato spesso lascia ad intendere che i sistemi ad energia nucleare siano ad altissima densità energetica, ma U-235 non si trova libero in natura, un grammo di U-235 si ricava, mediamente, da 7 tonnellate di minerale lavorato in miniera.
Di conseguenza il potere calorifico del minerale contenente U-235 è, mediamente, di 10 MJ/kg
Il potere calorifico del petrolio è di 42 MJ/kg, quello del carbone di 30 MJ/kg e per la legna 17 MJ/kg, quindi dire che il nucleare implica una fonte energetica ad altissima densità è per lo meno opinabile, nel migliore dei casi è comunque sullo stesso ordine di grandezza degli altri combustibili.

Verifichiamo meglio la convenienza della prospettiva di costruire nuove centrali nucleari. Diamo uno sguardo agli altri Paesi.

L'ultimo reattore americano è stato costruito nel 1979, trent'anni fa. Negli Stati uniti, il paese in cui è nato il nucleare, conta appena il 20% nella produzione energetica. In Francia sì è al 78% ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l'arsenale atomico.

Con il ricorso al nucleare in Italia si prevede che i relativi costi aumenteranno. Il nucleare in Germania, per esempio, costa due volte e mezzo quello che costa in Francia, dove i costi sono attutiti dal contribuente. Secondo un recente studio svizzero citato dal prof. Carlo Rubbia oggi il nucleare non conviene dal punto di vista economico-energetico.

Anche nella remota ipotesi in cui riuscissimo a costruire una centrale per regione attutiremmo il costo in 50 anni e forniremmo non più del 10% dell'energia che ci servirà. Anche dal punto di vista dei problemi legati alla sicurezza e alla gestione delle scorie il nucleare pone seri problemi.

In tutto il mondo il problema dei residui nucleari è grave e attualmente con difficile risoluzione, anche negli stati più tecnologicamente avanzati. In Italia, dove abbiamo ancora delle scorie per i vecchi impianti chiusi che continuano a produrre residui, non abbiamo nemmeno un piano per gestire i pochi residui che abbiamo e dobbiamo spedire il tutto in Germania.

Non esiste un nucleare sicuro né tantomeno a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo.

Altra incontrovertibile criticità riguarda l’approvvigionamento della “materia prima”.

L'isotopo dell'uranio che può essere utilizzato nelle centrali nucleari, l'uranio 235, è solo lo 0.3% dell'uranio totale ed è in esaurimento.

L’attuale situazione logistica di distribuzione dell’energia vede circa il 75% disperdersi nelle centrali elettriche.

Inoltre i nostri elettrodomestici e le nostre case non sono a norma per il risparmio energico, anche lì oltre il 50% dell'energia viene sprecata per una mancata coibentazione, assenza di integrazione con sistemi alternativi e un piano energetico di consumo consapevole e responsabile come avviene in alcune comunità della Germania, dove il consumo avviene a secondo della produzione e non viceversa.
Esempio: esistono dei piccoli robot "maggiordomi" dell'energia che costano molto poco e organizzano lavatrice, lavastoviglie, etc. nelle case nel corso della giornata in base alle previsioni di produzione locale di energia tramite solare, geotermica, eolica etc...

Soluzioni alternative possono essere sicuramente considerate quelle relative al fotovoltaico.

Un esempio concreto: L'impianto per la produzione di energia solare costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo è costato 140 milioni di euro, produce 64 megawatt e per realizzarlo sono occorsi solo 18 mesi.

Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità. Il nucleare costa almeno 5 miliardi di euro a centrale, si realizza in dieci anni, ha molti rischi incerti e il problema delle scorie certo. Per concludere non è difficile desumere da questo ragionamento che l'attuale tecnologia del nucleare non conviene da nessun punto di vista, almeno per quanto riguarda l'Italia, non risolve alcun problema, costa moltissimo, ha il problema delle scorie tossiche e l'uranio va in esaurimento.

La soluzione alla quale si potrebbe utilmente pensare è quella della creazione di un incentivo all'ottimizzazione del consumo energetico, micro e macroproduzione tramite fonti rinnovabili come il solare e il geotermico, aumentando i fondi per la ricerca, anche nucleare se necessario.

In attesa di una tecnologia migliore iniziamo a fare quello che possiamo fare meglio, ovvero il solare, sfruttando le centrali già esistenti in Europa al servizio dell’Europa contemplando un piano coerente di integrazione e di sussidiarietà di cooperazione tra gli stati che dicono essere pro Europa.
Dott. Victor Di Maria

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