mercoledì 27 luglio 2016

DISABILI: l’esenzione permanente dal pagamento del bollo



Sono numerose le agevolazioni che le norme fiscali riservano ai disabili e ai loro familiari. 

Tra queste agevolazioni figura l’esenzione permanente dal pagamento del bollo per i veicoli acquistati. 

Come funziona? E quando spetta l’agevolazione?

I disabili che acquistano un autoveicolo o motoveicolo con i limiti di cilindrata previsti per l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata possono essere esentati dal pagamento del bollo auto.

Quando spetta l’esenzione dal pagamento del bollo?


L’esenzione dal pagamento del bollo spetta sia quando l’auto è intestata al disabile che richiede l’agevolazione, sia quando l’intestatario dell’auto è un familiare del quale egli è fiscalmente a carico.

L’ufficio competente per la concessione dell’esenzione è l’ufficio tributi dell’ente Regione. Nel caso in cui, nella Regione non sia stato istituito l’ufficio tributi, l’interessato che intende far valere il suo diritto all’esenzione può rivolgersi all’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate. 

lunedì 25 luglio 2016

Responsabilità della banca per l’errata o abusiva segnalazione in Centrale dei Rischi di Banca d’Italia.

L'errata o illegittima segnalazione, da parte della banca, in Centrale dei Rischi inevitabilmente può arrecare al cliente un grave pregiudizio.

Di fronte ad un simile evento la banca, o l’intermediario, assume una responsabilità nei confronti del cliente danneggiato.

Tale responsabilità deriva intanto dall'inosservanza dei doveri di diligenza professionale richiesti alla banca nel valutare il ricorrere dei presupposti della segnalazione.

Il criterio di “diligenza professionale” è alla base di qualsiasi attività viene posta in essere nei confronti di un utenza la quale, dalla detta attività, può subire gli effetti negativi di una informazione errata.

Ma quale responsabilità assume la banca di fronte ad un simile errato comportamento ?

La natura della responsabilità attribuibile alla banca e/o all’intermediario ha visto l’evolversi di una giurisprudenza che ha reso pacifica la responsabilità dell'intermediario sebbene, all'attualità, non sia ancora del tutto pacifica la natura di tale responsabilità.

Uno degli orientamenti oggi presenti nel dibattito giurisprudenziale la inquadra nell'alveo della responsabilità extracontrattuale che si sostanzia nella violazione degli obblighi di riservatezza del cliente nel trattamento dei dati suoi personali, con applicazione delle disposizioni del Codice della Privacy che riconducono l'illecito trattamento dei dati all'art. 2050 c.c..

Ma non solo. 

L'erronea o illegittima segnalazione lederebbe altresì l'identità personale del segnalato, nonché la sua libertà di iniziativa economica, la libertà di concorrenza, finanche la lesione dell'altrui politica di gestione del credito. 

Un altro orientamento, invece, fa emergere una responsabilità di tipo contrattuale.

Secondo tale visione, infatti, la banca e/o l'intermediario che esegue la erronea segnalazione violerebbe gli obblighi di buona fede e di correttezza nascenti dal rapporto intrattenuto col cliente.

C’è da riferire che vi sono pronunce che contemplano entrambe le responsabilità, una sorta di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale giacché il segnalante é responsabile della violazione degli obblighi di buonafede oggettiva ex art. 1375 c.c. nell'esecuzione del rapporto, ed é parimenti responsabile dell'illegittimo trattamento dei dati personali del cliente, essendo quest'ultima attività inevitabilmente connessa alla gestione del sistema di segnalazioni in Centrale dei Rischi.

C’è anche, sia pure per così dire minoritaria, una visione giurisprudenziale che tratta la fattispecie come un tertium genus consistente nella responsabilità da false informazioni, ricondotta ora alla responsabilità contrattuale, ora alla responsabilità aquiliana.

Quanto alle voci di danno risarcibile, è del tutto pacifico che l'erronea o illegittima segnalazione possa condurre alla liquidazione del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale.

Il pregiudizio alla sfera patrimoniale del segnalato deriverebbe dalla circostanza che la notizia lesiva possa restare diffusa per un tempo così ampio da consentirne la percepibilità da parte degli operatori di credito, con limitazioni all’accesso al credito per il segnalato. 

Il danno non patrimoniale deriverebbe, invece, dalla lesione del diritto all'immagine del segnalato, persona fisica o persona giuridica.

Lesione che si concretizza nella diminuzione della considerazione del segnalato da parte dei consociati, etichettato ingiustamente 'cattivo pagatore'.

Danno non patrimoniale che va dimostrato, atteso che sul segnalato incombe l’onere di provare il suo verificarsi.

Non del tutto univoco è poi l'inquadramento del danno da mancato accesso al credito che si verifica quando altri istituti di credito rifiutino le richieste di finanziamento del cliente in ragione della presenza di una segnalazione in Centrale dei Rischi che poi risulti illegittima.

Sebbene l'orientamento prevalente depone per la natura patrimoniale della lesione, non mancano affermazioni di senso opposto che ne sottolineano la natura non patrimoniale.

E’ comunque pacifico che la condanna dell'intermediario presuppone che il segnalato dimostri la segnalazione abbia prodotto il pregiudizio presso altre banche.

Come difendersi dall'errata o abusiva segnalazione in Centrale dei Rischi di Banca d’Italia?

Tra i rimedi esperibile vi è l’Arbitrato Bancario Finanziario, con obbligo di adesione dell’intermediario al procedimento promosso dal cliente.

E’ possibile anche l’attivazione di un giudizio ordinario di cognizione, al ricorrere dei presupposti, il cliente potrebbe avere interesse ad ottenere dal Tribunale provvedimenti d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c.

Il Tribunale potrà quindi inibire la banca dall'effettuare una preannunciata segnalazione, ovvero condannarla a rimuovere o rettificare la segnalazione effettuata.

E’ stato ritenuto che il ricorso ex art. 700 c.p.c. costituisce l’efficace rimedio per tutelare chi sia stato vittima di un’erronea segnalazione in Centrale Rischi essendo la segnalazione potenzialmente idonea a pregiudicare in modo irreparabile la posizione del segnalato.

Immaginiamo cosa può accadere ad un imprenditore che viene illegittimamente segnalato in Centrale Rischi.
Il pericolo consiste nel rischio di aggravamento insito nello stesso decorso del tempo necessario per ottenere una decisione sul merito a cognizione piena. 
E’ ovvio che occorre che la parte che assume di essere pregiudicata dimostri fin da principio la sussistenza del nesso causale tra segnalazione in Centrale Rischi e potenziale pregiudizio.
Dott. Victor Di Maria


Revisore dei Conti – Commercialista - Docente a contratto presso l'Università di Palermo di Economia aziendale e gestione delle imprese.

domenica 24 luglio 2016

INCOSTITUZIONALE IL COMMA UNO, LETTERA "E" DELL'ARTICOLO 460 CODICE PENALE



La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 201 del 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lett. e) c.p.p., per contrasto con l'art. 24 Cost.« nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere mediante l'opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova ».   

Secondo la Corte costituzionale, "il complesso dei principi, elaborati da questa Corte, sulle facoltà difensive per la richiesta dei riti speciali non può non valere anche per il nuovo procedimento di messa alla prova. Per consentirgli di determinarsi correttamente nelle sue scelte difensive occorre pertanto che all'imputato, come avviene per gli altri riti speciali, sia dato avviso della facoltà di richiederlo. 

Poiché nel procedimento per decreto il termine entro il quale chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, e corrisponde a quello per proporre opposizione, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall'art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. per i riti speciali, della facoltà dell'imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e la violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost. 

L'omissione di questo avvertimento può infatti determinare un pregiudizio irreparabile, come quello verificatosi nel giudizio a quo, in cui l'imputato nel fare opposizione al decreto, non essendo stato avvisato, ha formulato la richiesta in questione solo nel corso dell'udienza dibattimentale, e quindi tardivamente". 

martedì 19 luglio 2016

CARTELLA DI PAGAMENTO ANNULLATA: LA COMMISSIONE TRIBUTARIA ACCOGLIE LA TESI DI DI QUESTA DIFESA.


Annullamento dell’atto di intimazione di pagamento di importo superiore a 140.000 euro per mancanza di chiarezza e di motivazione dell’atto (così come stabilito dall’art. 7 L. 212/2000) con particolare riferimento alla distinzione tra capitale, interessi di mora e aliquota applicata. Condanna anche al pagamento delle spese.
Nel 2015 veniva notificata una intimazione di pagamento da parte di Riscossione Sicilia e avverso tale atto questo studio professionale, incaricato dal contribuent, impugnava il suddetto atto adducendone la nullità per omessa motivazione dell’atto stesso: “il totale dovuto risulterebbe calcolato senza che vi sia esplicato il metodo seguito e l’iter logico del calcolo effettuato”.
La Commissione Tributaria accoglie il ricorso.
Annulla l’atto impugnato e condanna l'Ente di Riscossione al pagamento delle spese di lite.
Dott. Victor Di Maria

lunedì 18 luglio 2016

ENTI DI FORMAZIONE: IL TRATTAMENTO IVA NEL SISTEMA DELLA FORMAZIONE

Il Fondo Sociale Europeo, lo Stato e le Regioni finanziano da tempo la formazione attraverso provvedimenti tesi a sostenere gli Enti preposti, organismi deputati alla formazione professionale.

Gli operatori, da tempo, hanno sempre avuto seri dubbi di qualificare tali “contributi” rispetto al profilo tributario delle imposte indirette.

In tal senso, per l’IVA, si pongono due distinti problemi interpretativi:

  • la qualificazione delle somme ricevute quali corrispettivi contrattuali imponibili, a fronte di una prestazione di servizi, oppure come semplici elargizioni finanziarie fuori dal campo di applicazione dell’IVA ex art. 2 comma 3 lett. a) del DPR 633/72;
  • gli effetti sulla detrazione dell’imposta, assolta su beni e servizi utilizzati nella propria attività, a seguito dell’ottenimento di contributi esclusi dall’IVA.

In relazione al primo aspetto, è bene ribadire che l’erogazione di somme può assumere due alternative qualificazioni: corrispettivo o contributo.

Nel primo caso si tratta necessariamente di somme incassate avente profilo di corrispettivo per una prestazione resa (Rapporto sinallagmatico).

Nell'altro, invece, il soggetto beneficiario introita somme a fondo perduto senza alcun obbligo di natura contrattuale.

In tal guisa l’Agenzia delle Entrate ha fornito una interpretazione che così si sostanzia:

Un’erogazione ha natura di contributo se la sua assegnazione avviene in base: 
Ø a presupposti predefiniti legislativamente, al verificarsi dei quali consegue l’erogazione “automatica” del beneficio (es. aiuti di Stato “automatici” o contributi derivanti dalla devoluzione di cinque e otto per mille); 
Ø a un provvedimento attributivo, secondo modalità predeterminate in un regolamento generale o in un bando, ai sensi dell’art. 12 della “Legge sul procedimento amministrativo” (L. 7 agosto 1990 n. 241); 
Ø alla normativa comunitaria, anche se attuata da organi pubblici nazionali; 
Ø alle disposizioni del codice civile in materia di apporti in conto capitale.

Le somme incassate, invece, hanno natura di corrispettivo quando conseguono ad obblighi contrattuali sottoposti al “Codice dei contratti pubblici” (DLgs. 18 aprile 2016 n. 50).

La stessa qualificazione assume l’operazione che scaturisce da accordi contrattuali di natura sinallagmatica, esclusi dalla disciplina dei contratti pubblici, nei quali l’erogazione avviene a fronte di un servizio prestato.

Se la sovvenzione è qualificata come contributo “a fondo perduto” la sua erogazione costituisce, come detto, operazione fuori dal campo di applicazione dell’IVA.

L’amministrazione finanziaria aveva in passato sostenuto che l’ottenimento di un contributo non soggetto a IVA potesse comportare limitazioni alla detrazione dell’IVA sugli acquisti.

La Corte di Cassazione, nella sentenza 17 giugno 2015 n. 12523, e la stessa Agenzia delle Entrate, nella circ. 11 maggio 2015 n. 20 §2, avevano già escluso tale interpretazione, affermando che il diritto alla detrazione sugli acquisti del soggetto beneficiario dipende solo dal regime impositivo delle operazioni realizzate.

Non assume alcuna rilevanza la circostanza che gli acquisti siano stati finanziati da contributi ricevuti non soggetti a IVA.

Il legislatore è, infine, intervenuto, definitivamente, con una norma d’interpretazione autentica, l’art. 10 comma 2-ter aggiunto in sede di conversione nel DL 30 dicembre 2015 n. 210 (conv. L. 25 febbraio 2016 n. 21), fissando a livello normativo i descritti principi.
                                                                           Dott. Victor Di Maria

martedì 5 luglio 2016

I termini per la convocazione dell'assemblea per l'approvazione del Bilancio nelle società di Capitali


La formalità della convocazione è rimessa al rispetto dell’art. 2364, secondo comma, cod. civ. che così dispone: “l’assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l’anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale.
Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a 180 giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'art. 2428 le ragioni della dilazione”.
Prima di analizzare quali siano le corrette tempistiche di convocazione delle assemblee per la discussione ed eventuale approvazione del bilancio, è opportuna una breve premessa sul significato attribuito dal legislatore al termine “convocazione” e su quando tale obbligo possa ritenersi adempiuto.
Sotto un profilo sostanziale e secondo l’orientamento unanime e ampiamente consolidato, l’obbligo di convocazione non può dirsi assolto al mero adempimento formale (In tal senso Minervini, in “Gli amministratori di società per azioni”, 1956, pag. 29. Ed ancora Mignoli, “Contro la concentrazione delle assemblee: una iniziativa della COB”, in Riv. Società, 1976, pagg. 294-295 che riprende il pensiero di Frè in Società per azioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna – Roma, 1982, art. 2364 e secondo cui « l’intenzione del legislatore di non consentire agli amministratori di fissare a loro arbitrio il giorno della riunione, a condizione soltanto che l’avviso di convocazione sia pubblicato entro il detto termine, non può essere posta in dubbio, sia perché altrimenti la norma non sarebbe seria, sua perché il nuovo codice rivela anzi una sollecitudine maggiore di quello precedete per quanto riguarda l’effettiva periodica riunione dell’assemblea ordinaria») e, in particolare, il termine di convocazione previsto dalla legge (120 giorni e comunque non superiore a 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale) non può riferirsi alla mera pubblicazione dell’avviso di convocazione ma, bensì, alla data effettiva della adunanza assembleare.
Tale tesi è (sarebbe) confermata, almeno per le società per azioni, dallo stesso tenore letterale dell’art. 2369, secondo comma, cod. civ. nella parte in cui prevede che “la seconda convocazione non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima”, non lasciando spazio ad altre interpretazioni e che il termine convocazione vada riferito alla assemblea stessa e non di certo a una mera pubblicazione dell’annuncio sulla Gazzetta Ufficiale.
E' lapalessiano che, diversamente opinando,  qualora si ritenesse che il termine legale si riferisca alla sola pubblicazione dell’avviso, si legittimerebbe la fissazione non solo della seconda, ma altresì della prima adunanza oltre i limiti temporali indicati dall’art. 2364, secondo comma, cod. civ., fornedo agli amministratori arbitrari margini di discrezionalità che la norma tende, diversamente, a escludere.
Detto ciò, tuttavia, potrà capitare che l’assemblea, pur se regolarmente convocata non si riunisca o, seppur riunita, non riesca a deliberare, come accade nell’ipotesi di mancato raggiungimento della maggioranza prescritta.
Ebbene, in tale ipotesi, l’art. 2369 cod. civ., stabilisce che, se nella prima adunanza non si siano raggiunti i quorum costitutivi ex art. 2368 cod. civ., “l’assemblea deve essere nuovamente convocata […] nell’avviso di convocazione dell’assemblea può essere fissato il giorno per la seconda convocazione […] se il giorno per la seconda convocazione non è indicato nell’avviso, l’assemblea deve essere riconvocata entro trenta giorni dalla data della prima e il termine stabilito dall’art. 2366 è ridotto ad otto giorni”.
La diffusa prassi societaria di far slittare la seconda convocazione dell’assemblea di bilancio oltre il termine di 120 (o 180) giorni, che appare provenire da una lettura coordinata degli artt. 2364 e 2369 cod. civ., non può tuttavia esimere gli interpreti dall’interrogarsi sulla legittimità o meno della stessa7 ; in tal senso, per una corretta individuazione della data di seconda convocazione, occorre verificare se il termine di legge vada calcolato in relazione alla prima convocazione dell’assemblea ovvero se vada riferito anche alla data della eventuale seconda convocazione.
In altre parole, è legittimo prevedere e/o spostare la seconda convocazione dell’assemblea di bilancio oltre il termine di 120 (o, se previsto dallo statuto, 180) giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale?
La risposta a tale domanda potreùbbe essere fornita dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2364, 2369 e 2429 cod. civ.:
  • l’art. 2369, primo comma, cod. civ., nel prevedere l’obbligo di una nuova assemblea quando in prima adunanza non si raggiungano i quorum prescritti, parla espressamente di nuova convocazione (“l’assemblea deve essere nuovamente convocata”), il che consente di ritenere che una convocazione già c’è stata e che quindi l’obbligo di cui all’art. 2364, secondo comma, cod. civ. possa ritenersi adempiuto già con la sola convocazione in prima adunanza.
  • non può non tenersi conto che il legislatore, nel disciplinare la seconda convocazione, ha già previsto la fissazione di un termine massimo (30 giorni) entro cui indire l’assemblea successiva (art. 2369 II comma Cod. Civ.). In buona sostanza, laddove la prima adunanza non riesca a deliberare sull'approvazione del bilancio, vi è comunque un distacco temporale massimo tra prima e seconda convocazione da dover rispettare, così da comprimere il libero arbitrio degli amministratori e fissare un limite alla situazione di incertezza idoneo a tutelare il diritto di informazione dei soci e dei terzi. L’art. 2369 cod. civ., se interpretato in combinato disposto con l’art. 2364, secondo comma, cod. civ., porterebbe ragionevolmente a ritenere che il termine ultimo per la seconda convocazione non sia quello di 120 giorni.
  • Infine, a ridimensionare il timore che il diritto di informazione di ciascun socio e dei terzi risulti leso dall'ammissibilità di una seconda convocazione tardiva, soccorrono le norme sulla pubblicità del bilancio e, nella specie, sul deposito del bilancio presso la sede sociale di cui all'art. 2429, terzo comma, cod. civ. che sancisce l’obbligo, a carico degli amministratori, di deposito del progetto di bilancio (unitamente alle copie integrali dell’ultimo bilancio delle società controllate, al prospetto riepilogativo dei dati essenziali delle società collegate ed alle relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti) durante i 15 giorni che precedono l’assemblea e finché il bilancio venga approvato.  
Quanto detto consente, quindi, di poter ritenere che entro il termine di 120 (o 180) giorni debba effettuarsi solo la prima convocazione, potendo la seconda avvenire anche oltre il predetto termine, purché entro 30 giorni dalla prima.
Va anche precisato, in ogni caso, che la deliberazione di approvazione del bilancio oltre il termine di 120 (o 180) giorni non è invalida proprio in ragione dell’importanza fondamentale che il bilancio assume nella vita della società e che è tale da richiedere che esso, seppur oltre il termine stabilito dalla legge, sia comunque sottoposto al vaglio dell’assemblea dei soci, “onde evitare un aggravamento della situazione gestionale che la convocazione tardiva può aver, in qualche misura, già determinato” (Cass. Civ., Sez. I, 14 agosto 1997, n. 7623).
Dalla lettura dell’art. 2364, secondo comma, cod. civ., si desume che, decorso inutilmente il termine di 120 giorni, il bilancio possa sempre essere portato all'esame dell’organo assembleare; ed infatti il termine previsto dalla norma in questione non ha natura perentoria ed il suo mancato rispetto non esime gli amministratori dall'obbligo di redazione del bilancio e di convocazione dell’assemblea originando, esclusivamente, un comportamento che contrasta con la legge da parte dell’organo amministrativo.
L’inosservanza del termine, quindi, non si ripercuote sulla validità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio, potendone solo conseguire una responsabilità in capo agli amministratori (artt. 2392-2393, cod. civ.), qualora ne sussistano i presupposti, ed eventualmente in capo ai sindaci, essendo questi ultimi obbligati a convocare l’assemblea in caso di omissione da parte degli amministratori (artt. 2406-2407, II comma, cod. civ.).
Altra fattispecie è quella che disciplina la seconda convocazione dell’assemblea nelle s.r.l..
Innanzitutto, è necessario premettere che, a differenza di quanto accade nelle s.p.a., nelle s.r.l., in ossequio alla maggior duttilità attribuita a tale modello societario, il procedimento assembleare è caratterizzato da un temperamento degli obblighi formali e da un ampio rinvio all'autonomia statutaria. 
Ed infatti, per dirla con Zanarone,  «le regole dettate per l’assemblea dall'art. 2479 bis si presentano tutte come norme suppletive di una mancata diversa indicazione da parte dell’atto costitutivo, lasciando a quest’ultimo una pressoché totale autonomia nella configurazione dei rapporti tra i soci in ordine alla conduzione della società e aprendo in tal modo la strada a modelli societari quanto mai vari e diversi pur sotto la medesima denominazione tipologia» (“Quale modello legale per la nuova s.r.l.? Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private” a cura di Benazzo, Patriarca, Presti, Milano, 2003, pag. 75 e ss.).
In tal senso è bastevole rilevare che, ai sensi dell’art. 2479, terzo comma, cod. civ., l’atto costitutivo può prevedere che, in alternativa al metodo assembleare tradizionale, la gran parte delle decisioni, tra le quali rientra anche l’approvazione del bilancio, siano adottate mediante consultazione scritta o in virtù del consenso espresso per iscritto (ad eccezione di ipotesi tassative in cui il ricorso al metodo assembleare si impone come obbligatorio).
Ed è proprio in relazione alla possibilità di optare per tali metodi decisionali che il legislatore, nell'art. 2478 bis, cod. civ., prevede, in capo gli amministratori, un obbligo di mera presentazione del bilancio ai soci, “entro il termine stabilito dall'atto costitutivo e comunque, non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale”, con un richiamo espresso al secondo comma dell’art. 2364, secondo comma, cod. civ. per quanto concerne la possibilità di beneficiare della proroga fino a 180 giorni.
Da ciò discende che, qualora l’atto costitutivo preveda le modalità della consultazione scritta o del consenso espresso per iscritto, entro il termine di 120 (o 180) giorni gli amministratori saranno tenuti ad avviare, relativamente alla proposta di approvazione del bilancio, le suddette procedure alternative; laddove, invece, la s.r.l. abbia optato per il metodo assembleare “tradizionale”, gli amministratori, sempre nello stesso termine, dovranno convocare l’assemblea avente all'ordine del giorno detta proposta di approvazione.
In tale ultima ipotesi, il termine di 120 giorni, analogamente a quanto previsto nella disciplina delle s.p.a., dovrebbe riferirsi alla prima convocazione, anche perché, nelle s.r.l., la possibilità di una seconda, eventuale, convocazione dell’assemblea deve essere espressamente prevista dall'atto costituivo.
Dott. Victor Di Maria
Fonte di ricerca: (Fondazione Nazionale dei Commercialisti)

domenica 3 luglio 2016

L'ITALIA NEL PALLONE



Il 2 luglio 2016 è una di quelle date che ricorderemo a lungo. Il motivo che ce la farà rimanere tale non è, come potrebbe apparire, la tragedia di Dacca, una strage infame nella quale hanno perso la vita molte persone, alcune delle quali nostri connazionali. 

No. Non solo per questo. Sarà una data indimenticabile (Sic !) perchè la Nazionale di calcio è stata sconfitta dalla Germania.

Ieri sera gli italiani, in maggioranza, hanno assistito alla partita di calcio.

I telecronisti delle varie emittenti televisive hanno sciorinato il solito "rituale" e "scontato" commento condito di frasi enfatiche per sottolineare le gesta dei "nostri" "eroi", undici ragazzi in calzoncini che "difendono" la "Patria calcistica", un delirio di parole pronunciate con tonalità accese.

I calciatori in campo con la "fascia" nera al braccio, in segno di "lutto" per i connazionali caduti nella strage di Dacca.

Enfasi di frasi in una fiera del superfluo.

Il telecronista costruisce il suo commento con tecnica adeguata alla platea degli ascoltatori (praticamente la maggioranza degli italiani).

Un esempio delle frasi utilizzate potrà essere: "un gruppo attaccato ai colori della squadra"; "ragazzi che credono nei valori (valori ?) della maglia azzurra".... e così procedendo.

L'italiano "tifoso" è così. Si infiamma per una "parata" del "Gigione nazionale", un "assist pennellato", un "Cross millimetrico". 

E la platea dei tifosi è indifferenziata.

Davanti allo schermo televisivo non ci sono categorie. Le reazioni sono univoche. Tutti con lo stesso afflato: magistrati, professori, spazzini, metalmeccanici, chirurghi, avvocati, burocrati, casalinghi e casalinghe, omo ed etero. Tutti con animosità "Nazional-popolare", fieri di assistere alla "Fiera del superfluo".

Finita la partita, spenti i bollori per il "conflitto" calcistico, l'Italia del Pallone rientra piano piano nella sua condizione naturale. 

L'Italia del dopo partita ricomincia a commuoversi, così come aveva fatto prima della partita, per la strage di Dacca.

Siamo fatti così. Non lo facciamo per male. siamo l'Italia del Pallone nel "Pallone".

Victor Di Maria