lunedì 8 ottobre 2012

Locazioni di strumentali, dubbi sull’opzione per i contratti in corso a cura di Victor Di Maria


Locazioni di strumentali, dubbi sull’opzione per i contratti in corso


Il passaggio dall’imponibilità obbligatoria all’imponibilità su opzione, determinato dall’entrata in vigore del DL 83/2012, comporta alcune criticità

Con l’entrata in vigore del DL 83/2012, alcune locazioni di fabbricati strumentali sono passate da imponibili per obbligo ad esenti in assenza di opzione. 
Si ricorda infatti che, fino al 25 giugno 2012 (data di entrata in vigore del DL 83/2012), le locazioni di fabbricati strumentali, pur essendo in linea di principio esenti da IVA, ricadevano nel regime di imponibilità:
- per obbligo, nel caso in cui il conduttore fosse un soggetto non IVA o avesse un pro rata inferiore o pari al 25%;
- per opzione, in tutti gli altri casi.
A partire dal 26 giugno 2012, con l’entrata in vigore del DL 83/2012, il regime IVA delle locazioni è cambiato, in quanto la novella ha riscritto il n. 8 dell’art. 10 comma 1 del DPR 633/72 (nonché i nn. 8-bis e 8-ter del medesimo articolo).
Dalla predetta data, in particolare, per quanto concerne le locazioni di fabbricati strumentali, la norma ha previsto la possibilità generalizzata di assoggettare l’operazione ad IVA mediante opzione espressamente manifestata in atto dal locatore.
Pertanto, chi stipula un contratto di locazione, ad esempio oggi, può evitare il regime di esenzione da IVA esprimendo in atto l’opzione per l’imposizione.
Occorre interrogarsi su cosa accada per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del DL 83/2012 con conduttori persone fisiche che non agissero nell’esercizio dell’impresa o di arti o professioni (o con conduttori soggetti IVA con pro rata inferiore al 25%).
Infatti, partendo dal presupposto che le modifiche introdotte dal DL 83/2012 trovino applicazione anche ai contratti di locazione in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto, in quanto ex art. 6 comma 3 del DPR 633/72 le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo, si deve concludere che tali contratti:
-          fino al 25 giugno 2012 fossero imponibili per obbligo, sicché al pagamento del canone veniva emessa fattura con IVA;
-          dal 26 giugno 2012 siano imponibili su opzione del locatore, ma solo se “nel relativo atto il locatore abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione”.
Ma poiché, per i contratti in corso, il contratto è già stato stipulato, occorre soffermarsi sulle modalità di esercizio dell’opzione.
Il DL 83/2012 non ha previsto alcuna disciplina transitoria. Tuttavia, ritenere che, in tal caso, i canoni passino irrimediabilmente da imponibili ad esenti, sembra una conclusione eccessiva, anche perché andrebbe nella direzione opposta rispetto a quella perseguita dal Legislatore, consistente nell’ampliamento del campo di applicazione dell’imponibilità ad IVA (sebbene il passaggio da imponibile ad esente consenta un risparmio di imposta in capo al conduttore, cui si associa il possibile aggravio in termini di pro rata per il locatore; per questo, in ragione di tale modifica normativa non è da escludere che le parti convengano per integrare il contratto di locazione con una pattuizione appositamente volta a modificare le condizioni economiche della locazione).
Il vuoto normativo determinatosi in relazione ai contratti in corso induce a cercare nella disciplina generale delle opzioni una soluzione alla questione.
Viene così in gioco il DPR 442/97, recante “norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette”. Come illustrato dall’Amministrazione finanziaria nella C.M. 27 agosto 1998 n. 209, tale disciplina ha modificato il tradizionale concetto di opzione: “mentre la validità dell’opzione veniva finora basata esclusivamente sulla formalità della comunicazione fatta all’Ufficio, in base alla nuova disciplina la comunicazione non rileva più ai fini della validità dell’opzione, ma la sua omissione comporta riflessi esclusivamente ai fini sanzionatori”. In particolare, l’art. 1 comma 1 del DPR 442/97 dispone che l’opzione per “i regimi di determinazione dell’imposta” si desume dal comportamento concludente del contribuente. Pertanto, la validità dell’opzione è subordinata unicamente alla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’atto o dell’attività.
Sebbene si ritenga che tale disciplina non possa trovare applicazione, in linea generale, alle opzioni di cui all’art. 10 n. 8 del DPR 633/72, in quanto per esse è stato previsto espressamente (da norme successive al DPR 442/97) che l’opzione debba essere manifestata in atto dal locatore, il DPR 442/97 potrebbe, tuttavia, trovare applicazione per colmare il vuoto normativo relativo ai contratti in corso.
Infatti, secondo l’art. 1 comma 1 del DPR 442/97, “è comunque consentita la variazione dell’opzione e della revoca nel caso di modifica del relativo sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative”.
In conclusione, si potrebbe ipotizzare che, limitatamente ai contratti in corso al 25 giugno 2012, per i quali è impossibile esercitare l’opzione nell’atto preposto (ovvero alla stipula del contratto), l’opzione per l’imponibilità (resa possibile a seguito della novella del DL 83/2012) possa essere espressa mediante comportamento concludente del contribuente.
Pertanto, nel caso di specie, il locatore che abbia, fino al 25 giugno 2012, fatturato i canoni di locazione con IVA (in quanto la locazione era imponibile per obbligo) potrebbe continuare a fatturarli con IVA anche dopo il 26 giugno 2012, in quanto tale comportamento concludente costituirebbe, in tale specifico caso, esercizio dell’opzione.

Pare, tuttavia, necessario comunicare l’opzione (operata, come già detto, eccezionalmente mediante comportamento concludente) all’Agenzia delle Entrate. A tal fine, si ritiene potrebbe essere inviata una raccomandata all’Agenzia, come consigliato nella risoluzione 4 gennaio 2008 n. 2. Tale documento, pur riguardando un caso diverso da quello qui affrontato (ovvero un’ipotesi di subentro dell’acquirente nel contratto di locazione), ha in comune con esso l’impossibilità di operare in atto l’opzione per l’imponibilità.
D’altro canto, ove non si condividesse l’impostazione qui proposta (opzione effettuata per atti concludenti per i contratti in corso al 26 giugno), si potrebbe valutare l’applicabilità, nel caso di specie, della remissione in bonis di cui all’art. 2 del DL 16/2012, entro il termine lungo del 31 dicembre 2012 (cfr. la recente circ. Agenzia delle Entrate 28 settembre 2012 n.38), effettuando “l’adempimento richiesto” e pagando 258 euro.
Anche l’applicazione di tale norma, però, nel caso di specie non risulta agevole, in quanto l’adempimento omesso, in tal caso, è l’inserimento dell’opzione nell’atto di acquisto, ma si tratta di un’omissione non derivante da negligenza del contribuente, bensì da impossibilità materiale.
Tenuto conto delle rilevanti incertezze che caratterizzano il tema, sarebbe auspicabile che l’Agenzia o il Legislatore provvedessero in tempi rapidi a chiarire il comportamento da assumere ovvero ad intervenire con una disciplina transitoria.

domenica 7 ottobre 2012

CONTRATTO DI AGENZIA E CORRISPETTIVO a cura del Dott. Victor Di Maria


Contratto di agenzia e corrispettivo
Tratto da "Fisco e Tasse di R. Staiano

Sommario
1. IL CONTRATTO DI AGENZIA ED ART. 1742 C.C..
2. IL CORRISPETTIVO NEL CONTRATTO DI AGENZIA.
2.1. DIRETTIVA COMUNITARIA E DIRITTO ALLA PROVVIGIONE NEL CONTRATTO DI AGENZIA.
2.2. ART. 1748 C.C. E LEGISLAZIONE TRIBUTARIA





1. Contratto di agenzia ed art. 1742 c.c..

Il  contratto di agenzia  è disciplinato dall'art. 1762 c.c., il quale stabilisce che  una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. 

L'A.E.C. del 1938 definisce l'agente e il rappresentante commerciale in modo analogo: "E' agente di commercio chi è incaricato stabilmente da una o più ditte di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona". Anche la  L. 12 marzo 1968, n. 316, istitutiva del ruolo per gli agenti e rappresentanti di commercio, così definisce tale attività: "art. 1 comma 2: agli effetti della presente legge, l'attività di agente di commercio si intende esercitata da chiunque venga stabilmente incaricato da una o più imprese di promuovere la conclusione di contratti in una o più zone determinate".  

Il contratto di agenzia è individuato quindi dalla prestazione dell'agente che consiste in atti il cui contenuto è vario e non predeterminato:  promuovere è infatti dare impulso, far nascere, sviluppare, progredire; promuovere la conclusione di contratti significa dunque provocarne la conclusione (o concluderli direttamente ove l'agente sia anche munito di rappresentanza). L'efficacia causale dell'azione va rapportata più che al singolo contratto, al volume complessivo dei contratti conclusi nella zona assegnata. 

Attività di impulso è la propaganda, destinata a persuadere, informando dell'esistenza del prodotto e illustrandone le caratteristiche intrinseche o commerciali, dell'opportunità dell'acquisto.  

Tali attività, pur non esaurendo le prestazioni in cui può concretarsi il promuovere la conclusione di contratti, possono, concorrendo di regola nell'opera dell'agente, considerarsi tipiche. Nessuna di esse - a parte i compiti di informazione di cui all’art. 1746 c.c., che però non determinano ma presuppongono l'esistenza di un rapporto di agenzia  - è tuttavia componente indispensabile della prestazione dell'agente.

2. Il corrispettivo nel contratto di agenzia

Come è noto il contratto di agenzia è un contratto in forza del quale una parte, l'agente, assume stabilmente  l'incarico di promuovere per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata (art. 1742 c.c.). L'agente ha dunque diritto ad un compenso e tale compenso è costituito  normalmente dalla provvigione che consiste in una percentuale sull'ammontare dell'affare portato a compimento. Infatti, l’art. 1748 c.c. dispone che l'agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione e che, se l'affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all'agente in proporzione della parte eseguita. 

Si tratta  di una  norma ordinatoria e cioè derogabile dalle parti. 

Queste, infatti, non soltanto possono meglio precisare alcuni principi contenuti nella norma come, ad esempio, la nozione di regolare esecuzione degli affari, ma possono anche disciplinare in modo diverso da quello previsto nell’art. 1748 c.c. la retribuzione dovuta all'agente ai sensi del più generale disposto di cui all’art. 1748 c.c..   

La retribuzione, infatti, è normalmente costituita dalla provvigione e cioè da un compenso fissato in misura proporzionale al valore dell'affare stesso (art. 1748 c.c.); peraltro essa può consistere in un compenso determinato in misura diversa: può consistere, ad esempio, in una somma fissa per ogni contratto concluso, indipendentemente dal suo ammontare o anche per le unità di misura (peso, capacità etc.) delle prestazioni contrattuali.  

La norma di cui all'art. 1748 ha, quindi, chiaramente natura ordinatoria, prevede il compenso normalmente praticato e cioè la provvigione, ma non esclude che le parti possano ricorrere a forme di compenso diverse dalla provvigione determinata in misura percentuale.  

L'unico limite che le parti incontrano è dato dalla natura del contratto di agenzia. Questo, difatti, è sorto storicamente differenziandosi dai due contratti di mandato e di "locatio operis".  

Di conseguenza non sarebbe possibile per le parti fissare il compenso mediante una retribuzione fissa, svincolata dal rapporto con la quantità e l'ammontare degli affari promossi.  

Difatti, come è stato autorevolmente osservato, "in un'ipotesi del genere verrebbe snaturata la figura dell'agente, quale lavoratore indipendente che assume su di se il rischio del guadagno, e ci troveremmo certamente dinanzi ad una tipo di lavoratore subordinato, eventualmente con caratteristiche proprie". 

La derogabilità della norma circa il modo di determinazione della provvigione comporta la derogabilità anche della norma per cui "se l'affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all'agente in proporzione della parte eseguita". 

Le parti, infatti, non soltanto possono determinare la nozione di "parte eseguita" e la misura della proporzione, ma possono ricorrere anche a criteri diversi di determinazione del compenso dell'agente in ispecie nei casi in cui la retribuzione prevista dall'art. 1742 non consiste nella provvigione regolata dall'art. 1748 prima parte.

2.1. Direttiva comunitaria e diritto alla provvigione nel contratto di agenzia

La Direttiva Europea in materia di agenzia, recepita dal D. Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65 prevedeva che le leggi nazionali avrebbero potuto disporre che l'agente acquistava il diritto alla provvigione nel momento e nella misura in cui si verificava uno dei casi seguenti: 

a) il preponente aveva eseguito l'operazione;
b) il preponente avrebbe dovuto eseguire l'operazione in virtù dell'accordo concluso con il terzo;
c) il terzo aveva eseguito l'operazione (art. 10, n. 1, della Direttiva). 

La stessa Direttiva aggiungeva che la provvigione si acquisiva al più tardi  quando il terso aveva eseguito la sua parte dell'operazione o avrebbe dovuto eseguirla qualora il preponente avesse eseguito la sua (art. 10 n. 2 della Direttiva). 

In sostanza la Direttiva lasciava agli Stati membri una facoltà di scelta tra varie ipotesi.  

La giurisprudenza di  legittimità  - sulla scorta di quella della Corte di giustizia Europea  – ha chiarito che le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata hanno efficacia diretta nell'ordinamento dei singoli stati membri  - sempre che siano incondizionate e sufficientemente precise e lo stato destinatario sia inadempiente per l'inutile decorso del termine accordato per dare attuazione alla direttiva - limitatamente ai rapporti tra le autorità dello stato inadempiente ed i singoli soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), e non anche nei rapporti fra privati (cosiddetta efficacia orizzontale). 

Ciò in quanto esclusivamente in tal senso si è pronunciata - sin dalla sentenza 26 febbraio 1986 nella causa n. 152/84 (Marshall/Southampton and South- West Harnpshire Area Health Authority) - la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (vincolante per i Giudici nazionali), la quale non  ha affatto superato il principio che le direttive obbligano esclusivamente  gli stati alla loro attuazione mediante strumenti normativi interni, in modo tale che l'applicazione delle loro disposizioni ai singoli è soltanto l'effetto indiretto -delle disposizioni interne che le recepiscono, ma ha - più limitatamente - stabilito che lo stato non può opporre ai singoli (Si vedano cfr. Cass. civ., 23937/2006; Cass. civ., 3762/2004; Cass. civ., 22440/2006; Cass. civ., 752/2002) l'inadempimento, da parte sua, degli obblighi impostigli dalla direttiva, per cui risponde, nei loro confronti, dei danni derivanti da tale inadempimento. 

D'altra parte non potrebbe non osservarsi che le facoltà alternative offerte al legislatore italiano escludevano in radice la determinatezza dei contenuto subordinata ad una ulteriore scelta del legislatore interno. 

Infatti, sul punto, la Cass. civ., n. 2000 del 1954 ha osservato che nel nostro ordinamento, prima dell'intervento della direttiva comunitaria del 13 dicembre 1986 sugli agenti di commercio indipendenti e delle due leggi italiane di attuazione (D. Lgs. 10 settembre 1991, n. 303; D. Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65), l'agente aveva diritto alla provvigione solo per gli affari che avevano avuto regolare esecuzione (art. 1748, comma 1, c.c.) e per gli affari che non avevano avuto esecuzione per causa imputabile al preponente (art. 1749 c.c.).  Se l'affare aveva avuto esecuzione parziale, la provvigione spettava all'agente in proporzione della parte eseguita (art. 1748, comma 1, c.c.). 

Nella sentenza si rileva che "in base alla norma, cosi come era formulata prima dell'attuazione della direttiva, giurisprudenza e dottrina avevano tradizionalmente ritenuto che l'agente acquistava il diritto alla provvigione non nel momento in cui aveva svolto l'attività di promozione del contratto, ma solo quando questo era stato accettato dalle parti e aveva avuto regolare esecuzione, ovvero, come meglio si esprime La normativa collettiva, era andato a buon fine. Promozione del contratto, conclusione del contratto e esecuzione del contratto erano dunque i tre fatti giuridici costitutivi del diritto dell'agente alla provvigione. 

Prima del verificarsi di questa triplice condizione l'agente non poteva vantare alcun diritto, ma era titolare di una mera aspettativa. 

Ciò dava luogo a inconvenienti di non poco rilievo. 

Tra l'altro l'agente, prima del verificarsi del buon fine dell'affare, non poteva disporre della provvigione se non come cessione di un credito futuro; e, nel caso di fallimento del preponente non poteva insinuare il suo credito nel passivo del fallimento. 

La disciplina presentava, inoltre, gravi inconvenienti anche sul piano probatorio. 

L'onere dell'agente di dimostrare la conclusione e il buon fine degli affari si rivelava difficile e gravoso, specie nel caso in cui il preponente avesse stipulato affari diretti nella zona dell'agente, ovvero non. avesse comunicato all'agente il buon fine degli affari da lui promossi. 

In base a tale facoltà il D. Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, di attuazione della Direttiva ha stabilito che per tutti gli affari conclusi durante il contratto l'agente ha diritto alla provvigione quando l'operazione è stata conclusa per affetto del suo intervento (art. 3 della legge che ha così modificato l’art. 1748, c.c.: Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito,  o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione a suo carico. 

In tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il  momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. 

Il momento di acquisizione è il momento in cui l'operazione promossa dall'agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione". 

Dunque, nella nuova disciplina giuridica, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. 

Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina precedente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile: un diritto che può essere ceduto e permette l'insinuazione nel passivo del fallimento del preponente. 

Condizione di esigibilità è invece l'esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. 

Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell'affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente. 

2.2. Art. 1748 c.c. e legislazione tributaria

E’ necessario esaminare le conseguenze della nuova impostazione normativa del rapporto d'agenzia (art. 1748 c.c.) in ordine all'imputazione dei costi delle provvigioni.  

Affermare che  la  distinzione tra fatto-momento genetico dell'obbligazione del   preponente e momento della sua esigibilità incidano sulla imputazione dei costi già certi sin dal primo momento,  non è  una tesi  condivisibile. 

La trasformazione della mera aspettativa dell'agente in vero e proprio diritto è frutto di una maggiore attenzione della situazione dell'agente, quale parte più debole (pur entrambi professionali) tanfo vero che si sono evidenziate dalla giurisprudenza le conseguenze dirette (possibilità di cedere il credito, di insinuarsi nel fallimento del preponente, agevolazione di prova) derivanti dal nuovo assetto. 

Trattasi però di un diritto azionabile nei confronti del preponente solo da un dies a quo "salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o  avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo" con un termine massimo in favore dell'agente " la provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico".  

Quel che appare pertanto rilevante, sotto un profilo che si potrebbe chiamare dinamico (e non meramente statico quale il riconoscimento del diritto in capo all'agente per avere procurato l'affare" o con la nuova terminologia "quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento") è pur sempre l'esecuzione della prestazione da parte del preponente o, con una specie di actio ficticia - corrispondente al vecchio "affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente"  - in favore dell'agente, dal momento in cui avrebbe dovuto eseguire la prestazione (con possibilità di deroga convenzionale) col solo limite, questa volta inderogabile, sia come termine sia come quantum, del'adempimento del terzo o analogamente a quanto pattuito per il preponente, dal momento in cui "avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico".  

Pertanto in applicazione dei criteri di cui all'art. 75 del T.U.I.R., nel testo all'epoca in vigore, anche in virtù della nuova normativa, anche a ritenere  inapplicabile il criterio della incertezza della prestazione perché ricollegata a clausola non compatibile con la nuova disciplina, non potrebbe non ritenersi, dalla parte del preponente, che si dovrebbe tener conto della data di esecuzione del contratto (consegna o spedizione dei beni mobili, stipula dell'atto per i beni immobili e le altre ipotesi previste dal predetto art. 75, comma 2, lett. a) e b), del T.U.I.R.) ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza. 

In altre parole, alla superiore disposizione che riconosce la nascita del diritto dell'agente nel momento della stipula del contratto generatore in capo al preponente dell'obbligo di corrispondere la provvigione, non può riconoscersi efficacia abrogativa nella parte de qua delle disposizioni dell'art. 75, comma 2, predetto. 

Invero secondo la nuova disciplina, dalla parte del preponente, rileva la esecuzione (o l'obbligo di esecuzione) del contratto che costituisce il dies a quo per la esigibilità della provvigione, in coerenza il comma sopracitato. 

Non è possibile pertanto invocare il collegamento (o parallelismo) tra nascita del diritto alla provvigione in capo all'agente e diritto del preponente a dedurre il costo della provvigione, collegamento che va fatto, invece, tra esecuzione (o obbligo di esecuzione del contratto) da parte del preponente, cui la nuova disciplina ricollega l'esigibilità della provvigione e diritto di esporre il costo in base alla disposizione più volte citata.

sabato 6 ottobre 2012

Sugli interpelli disapplicativi la Cassazione ci ripensa a cura di Victor Di Maria


La Corte di Cassazione, con la sentenza n.  8663/2011, aveva affermato, con specifico riferimento agli interpelli disapplicativi ex art. 37-bis comma 8 del DPR 600/73, che il contribuente, a seguito di domanda di interpello, sarebbe stato tenuto a impugnare la risposta, in quanto tale atto altro non sarebbe che un diniego di agevolazione.

La conseguenza, relativa alla necessità di tale impugnazione, era particolarmente penalizzante: infatti, qualora il ricorso fosse stato omesso, all'atto della notifica del successivo avviso di accertamento il contribuente non avrebbe più potuto sollevare motivi di censura concernenti la questione oggetto dell’interpello, in quanto lo avrebbe dovuto fare in sede di ricorso contro la risposta.  
Il problema era molto sentito per le società non operative, visto che, omesso di impugnare la risposta della Direzione Regionale delle Entrate, in sede di ricorso contro l’accertamento vi sarebbe stata una fortissima limitazione nell'oggetto della difesa.  
La sentenza n. 17010 depositata ieri, sancisce, da un lato, che la risposta data dal direttore regionale costituisce atto impugnabile in quanto contenente una pretesa definita, dall'altro, che il contribuente è titolare di una mera facoltà di impugnazione della risposta, e non di un onere. 
Il tutto, a monte, ha come presupposto la diversa qualificazione giuridica della risposta resa a seguito di interpello. 
Nella precedente sentenza (la 8663/2011), i giudici avevano affermato che si trattava di un atto espressamente compreso nell'elenco di cui all'art. 19 del DLgs. 546/92 (diniego di agevolazione), il che comportava, in sostanza, l’applicazione dell’art. 19 comma 3 di detto decreto, e quindi tornavano operanti i principi affermati in merito ai nessi tra accertamento e cartella di pagamento, sull'autonomia degli atti impugnabili. 
Adesso, invece, la risposta viene “catalogata” non più alla stregua di diniego di agevolazione ma, più ragionevolmente, come “disapplicazione di norma antielusiva”. 
Insomma, nel diniego di agevolazione, pur sussistendo il presupposto del tributo, per realizzare finalità anche extrafiscali, vengono introdotti trattamenti derogatori di favore; nel caso della disapplicazione, si rimuove l’operatività di norme limitative per esempio di deduzioni o crediti d’imposta che sono spettanti in quanto non sussiste il rischio di elusione, nel caso di specie e alla luce dei fatti di causa.
L'esercizio del diritto di impugnazione della risposta solo facoltativa
Da ciò ne deriva che la risposta, non essendo un diniego di agevolazione, non è un atto che riveste la forma “tipica” di uno di quelli elencati nel DLgs. 546/92, quindi non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere che, per via interpretativa, si possano introdurre decadenze alla contestazione di pretese fiscali.  
Quindi, come più volte dallo scrivente evidenziato in vari ricorsi, torna applicabile la teoria della “impugnazione facoltativa” (si veda la sentenza n.21045/2007), da cui ne discende che:
- se ritiene, il contribuente può impugnare la risposta all'interpello, siccome si tratta, di fatto, di provvedimento che contiene una pretesa tributaria definita la quale non riveste ancora la forma autoritativa di uno degli atti indicati dall'art. 19 prima citato;
- se tale impugnazione non vine incoata, non ci sono problemi, c’è una facoltà di impugnazione “il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento”.  

Inoltre, la Corte fissa un ulteriore principio di fondamentale importanza, affermando, in breve, che la risposta negativa può essere poi mutata, ma non la risposta positiva, in applicazione del principio di buona fede e leale collaborazione tra contribuente e uffici finanziari, espresso anche dall'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
Dott. Victor Di Maria