Risponde dei reati di dichiarazione fraudolenta e di emissione di fatture per
operazioni inesistenti, in concorso con l’imprenditore, il consulente fiscale
dell’azienda che, sapendo delle irregolarità, non ha rinunciato al mandato.
È
quanto emerge dalla sentenza 11 maggio 2015 n. 19335 della Corte di
Cassazione – Terza Sezione Penale.
Gli ermellini hanno confermato la
condanna a due anni di reclusione inflitta dai giudici di merito al titolare di
uno studio di elaborazione contabile in relazione agli addebiti di concorso
nell’emissione (art. 8, D.Lgs. n. 74/2000) e concorso nell’utilizzazione (art. 2,
D.Lgs. n. 74/20000) di fatture per operazioni inesistenti.
Secondo la Corte, a
buon diritto i giudici territoriali hanno ritenuto che il professionista avesse
fornito un contributo intenzionale e consapevole alla realizzazione della
frode, agevolando e rafforzando il proposito criminoso dei vertici societari,
posto che “un soggetto professionalmente esperto” come l’imputato non
poteva che avere “piena conoscenza dell’intento fraudolento della
fatturazione e conseguente reperimento in bilancio di documenti irregolari”;
sicché l’aver “proseguito nelle consulenza” – scrivono i supremi giudici – “e
nella prestazione dei servizi anche dopo il primo esercizio, pur a fronte di
evidenti segnali di irregolarità nelle operazioni svolte e della documentata
evasione delle imposte, corrisponde ad una condotta interamente connotata
dal dolo generico, sufficiente all’integrazione da parte del ricorrente dei reati
oggetto di contestazione”.
Nessun commento:
Posta un commento