sabato 11 giugno 2016

Diritto di accesso civico


1. Premessa.
Questo Governo nasce con l’obiettivo di introdurre delle riforme strutturali che da tempo avrebbero dovuto essere adottate in Italia e finalizzate a rendere il nostro Paese maggiormente competitivo e attrattivo per gli investitori esteri.
A tal fine, proseguendo l‟opera di rinnovamento posta in essere dal D.l. 24 giugno 2014, n. 90 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114 (in questo stesso Supplemento ordinario – alla pag. 1), recante: “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” 1 , carattere di priorità logica ha assunto la recente “Legge delega 124/2015”.(meglio conosciuta come “Legge Madia”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” 2 , con la quale sono state conferite al Governo una serie di deleghe, finalizzate a riformare strutturalmente la P.A., in un‟ottica di semplificazione della struttura amministrativa. Una delle caratteristiche più interessanti del disegno riformatore – alla luce della trasversalità che contraddistingue tale riforma – è quella di affrontare la riforma dell‟amministrazione pubblica come un tema unitario, anche se poi gli interventi si ripartiscono necessariamente nei singoli settori.
Tale approccio appare innovativo rispetto al recente passato e prende spunto dai più importanti interventi riformatori di inizio e fine anni ‟90 del secolo scorso.
La riforma in esame, appare rilevante perché da un lato, interviene con norme incisive sull’apparato pubblico nel suo complesso e, dall’altro, guarda al di fuori della macchina amministrativa e introduce disposizioni normative che se ben formulate e ben raccordate con altre norme dettate in differenti “corpus” legislativi, potrebbero incidere effettivamente sul rapporto tra cittadini e P.A., in una visione connotata da una più accentuata centralità del destinatario del servizio pubblico (l‟utenza) e non l‟apparato che fornisce il servizio medesimo.
Tra i vari settori oggetto del disegno riformatore portato avanti con la “Legge Madia”, l‟art. 7, rubricato “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza”, delega il Governo ad adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati ad integrare ovvero modificare le previgenti discipline dettate in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Inoltre, entro un anno dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati in attuazione di detta delega, il Governo è legittimato ad adottare, uno o più decreti legislativi correttivi o integrativi.
Nell’adottare tale delega, il legislatore delegante è tenuto all‟osservanza di un‟eterogeneità di principi e criteri direttivi, contraddistinti dalla trasversalità dei singoli settori del diritto interessati e, accomunati, dall’accentuato ruolo ascritto al principio di trasparenza (id est: pubblicità), quale strumento di controllo democratico esercitato dai cittadini, sull’operato della P.A..
In particolar modo, il Governo è chiamato ad attenersi ai principi e criteri direttivi discendenti dal combinato disposto degli artt. 1, c. 35, l. 6 novembre 2012, n. 190 relativa alle “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, e 7, c.1 della riforma Madia.
La suddetta delega, è stata attuata con lo schema di decreto legislativo dell’11 febbraio 2016 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, e sul quale, nel frattempo, ha già espresso il proprio esaustivo parere la sezione consultiva del Consiglio di Stato.
Sulla base di tale schema di Decreto, svolgerò alcune considerazioni, soffermandosi, in particolar modo sulle modifiche apportate all’istituto dell‟accesso civico di cui all’art. 5 del D.lgs. 33 citato.
2. La nozione di trasparenza.
La prima rilevante novità è contenuta nell‟art. 2 dello schema di decreto, che modifica l‟art. 1, c.1, D.lgs. 33/2013, il quale specifica la nozione del principio generale di trasparenza – strettamente correlato e funzionale a quello di prevenzione e lotta alla corruzione di cui alla legge 190/2012 – andando oltre alla definizione contenuta nelle previgenti disposizione normative (artt. 1, c.1 –bis, l n. 241/90 e 11, D.lgs. n. 150/2009)10, definendola come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, finalizzata non soltanto a favorire forme diffuse di controllo da parte dei consociati sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull‟utilizzo delle risorse pubbliche, ma anche a garantire una maggiore tutela dei diritti fondamentali, specificati dal successivo comma 2, dell‟art. 1 suddetto – immodificato – secondo cui la trasparenza è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive tutelate dall’art. 2 Cost., nonché dei diritti civili, politici e sociali, ed integra, inoltre, il diritto ad una buona amministrazione.
L‟art. 2 quindi, ridefinisce l‟oggetto del D.lgs. 33/2013. Difatti, mentre secondo la formulazione attualmente vigente, oggetto della disciplina del “Decreto Trasparenza” sono gli obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazione, il nuovo comma 1 dell‟art. 2, così come modificato dall’art. 3 dello schema di Decreto, avrebbe il seguente tenore letterale:” Le disposizioni del presente decreto disciplinano la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, garantita, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, tramite l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione”.
In tal modo, viene specificato e ampliato l‟oggetto del decreto legislativo n. 33 del 2013, in quanto, l‟obiettivo del principio di trasparenza, non sarebbe più quello di ottenere la pubblicazione delle informazioni e dei documenti in possesso dell‟amministrazione, ma quello di garantire – in maniera generalizzata – la trasparenza della P.A., tramite la libertà di accesso a dati e documenti mediante l‟esercizio dell‟accesso civico, considerato strumento principale di controllo democratico dell‟operato della P.A., in un‟ottica accentuata di trasparenza e pubblicità.
3. L’accesso civico.
La riformulazione dell‟oggetto del Decreto Trasparenza si pone in rapporto di consequenzialità con la vera novità prevista dallo schema di Decreto: l‟istituto dell‟accesso civico, inteso non più come sanzione per la mancata osservanza degli obblighi di trasparenza, così come strutturato ex art. 5 D.lgs. 33/2013, ma come vero e proprio diritto di accesso – prescindendo da qualsiasi valutazione inerenti la legittimazione attiva – ai dati, documenti e informazioni in possesso della P.A. – seppur nel rispetto dei limiti normativamente previsti – e per i quali non sussiste un obbligo di pubblicazione.
Prima di addentrarci nella descrizione della nuova veste dell‟istituto dell‟accesso civico, per ragioni di esaustività espositiva, giova ricostruire la disciplina di tale istituto così come prevista dall‟art. 5, D.lgs. 33/201312 .
L‟accesso civico si sostanzia nella richiesta (gratuita) di documenti, informazioni o dati di cui sia stata omessa la pubblicazione, indirizzata al responsabile della trasparenza dell‟amministrazione che è tenuto a pronunciarsi su di essa entro trenta giorni pubblicando il documento o l’informazione richiesta sul proprio sito e contestualmente comunicando l‟avvenuta pubblicazione al richiedente (con allegazione del documento richiesto o con indicazione del relativo collegamento ipertestuale). Non sono previsti limiti relativi alla legittimazione attiva e non è richiesta motivazione. Giova specificare che, come nel caso dell‟attività anticorruzione, anche in tema di trasparenza (che costituisce un obiettivo funzionale al perseguimento della lotta alla corruzione) è identificata una figura di responsabile unico con compiti di coordinamento nei confronti della pluralità di soggetti tenuti alla applicazione della nuova disciplina. La figura del Responsabile per la trasparenza è identificata all‟art. 43 del decreto 33/2013: è previsto che, di norma, il Responsabile per la prevenzione della corruzione di cui all‟art. 1, comma 7 della legge 6 novembre 2012, n. 190, svolga le funzioni di Responsabile per la trasparenza. Da ciò deriva la coincidenza tra il ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione e il ruolo di responsabile della trasparenza. Con particolare riferimento agli enti locali, era il segretario comunale ad assumere questo (duplice) ruolo direttamente ex art. 1, comma 7, l. 190/2012.
Tuttavia, la figura del segretario comunale, così come quello provinciale, è stata abrogata dall‟art. 11 dalla riforma Madia, ponendo, così un vero e proprio vuoto in “subiecta materia”, di cui si auspica la soluzione, tramite un coordinamento tra la delega in materia di dirigenza pubblica e quella oggetto del presente studio. In caso di ritardo o mancata pubblicazione delle informazioni oggetto della richiesta di ostensione, è possibile per il richiedente effettuare il ricorso al titolare del potere sostitutivo (ex articolo 2, comma 9-bis della legge 7 agosto 1990 s.m.i.) il quale, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, nei termini di cui al comma 9-ter del medesimo articolo, provvede ai sensi del comma 3.
All’ultimo comma è previsto che la richiesta di accesso civico comporti, da parte del Responsabile della trasparenza, l’obbligo di segnalazione di cui all’articolo 43, comma 5, in base al quale il responsabile è tenuto a segnalare i casi di inadempimento o di adempimento parziale degli obblighi in materia di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, all’ufficio di disciplina, ai fini dell’eventuale attivazione del procedimento disciplinare. Il responsabile segnala altresì gli inadempimenti al vertice politico dell’amministrazione, all’OIV ai fini dell’attivazione delle altre forme di responsabilità. Nella sua formulazione originaria, l‟accesso civico presta il fianco a due limitazioni: da un lato, esso è circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto dell‟obbligo di pubblicazione imposti dal Decreto 33/2013 alle P.A., dall‟altro, invece, esso più che un autonomo diritto riconosciuto ai cittadini, viene identificato alla stregua di una sanzione in caso di mancata osservanza degli obblighi di pubblicizzazione imposti dalla legge. In tale contesto, l’art. 6 dello schema di Decreto, al fine di ridefinire l‟ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza, nonché razionalizzare e precisare gli obblighi di pubblicazione, introduce un nuovo comma 2 all‟art. 5, D.lgs. 33/2013, nel quale si statuisce che:”. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti”.
Da un mero raffronto letterale tra la formulazione originaria e quella discendente dalla nuova disposizione letterale dell‟art. 5, si evince il netto cambiamento di prospettiva da parte del legislatore, il quale, al pari di quanto previsto dall‟art. 22, l. n. 241/1990, trasforma l‟accesso civico alla stregua di un “diritto”, riconosciuto a tutti i consociati, inerenti i dati e i documenti in possesso della P.A., che trova il suo equipollente in quello che nei sistemi di “common law” viene definito con l‟acronimo di “FOIA” (Freedom Of Information Act). Particolarmente significativo è il mutato oggetto del diritto di accesso civico. Mentre la disciplina previgente statuiva che oggetto dell‟accesso civico erano i documenti, gli atti e le informazioni in possesso delle ente pubblico, lo schema di Decreto, si riferisce esclusivamente ai “dati e documenti”, espungendo, quindi, qualsiasi riferimento alle mere “informazioni”. Tale limitazione, in realtà è condivisibile, in quanto il termine “informazione” si contraddistingue per la sua eccessiva vaghezza e soggettivismo. Inoltre, è opportuno evidenziare che tutte le informazioni in possesso della P.A., vengono materialmente trascritte in atti e documenti, di talché l‟inciso “informazione” risulterebbe fuorviante. Tuttavia, l‟eliminazione del richiamo alle “informazioni” è solo apparente, in quanto, è stato, incoerentemente, specificato nel successivo comma 3, dell‟art. 5 del D.lgs. 33/2013, il quale, specifica che l‟istanza di accesso deve – imprescindibilmente – contenere l‟indicazione “dei dati, le informazioni e i documenti richiesti”.
4. Ambito di applicazione.
I legittimati passivi al diritto di accesso civico. L’art. 3 dello schema di decreto introduce l‟art. 2 – bis del D.lgs. 33/2013, il quale andrà a disciplinare l‟ambito soggettivo di applicazione del decreto citato e sostituirà il previgente art. 11 (conseguentemente abrogato).
Rispetto alla disciplina previgente, la nuova norma supera alcune incertezze interpretative in fase di applicazione del D.lgs. 33/2013 e amplia notevolmente, l‟ambito di applicazione del Decreto Trasparenza. Tra le prime, rilevanti, modifiche viene in rilievo l„introduzione dell‟inciso “in quanto compatibili” nella nuova formulazione letterale dell‟art. 2- bis (non prevista dal previgente art. 11), che estende l‟ambito di applicazione del Decreto Trasparenza, limitamento all‟attività di pubblico interesse, alle Autorità portuali, agli enti pubblici economici e agli ordini professionali, alle società con capitale interamente pubblico (anch‟esse oggetto di una profonda rivisitazione ad opera della delega conferita al Governo ex art. 18, l. n. 124/2015), fatta eccezione per quelle che emettono – stabilmente – azioni nei mercati regolamentati e quelle che, mediante un criterio di natura temporale, prima del 31 dicembre 2015 hanno emesso strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e, inoltre, le società partecipate di tali società.
La nuova normativa si applica anche alle associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato, anche se privi della personalità giuridica di cui al Titolo II, Capo II e III del Codice civile. Affinché la nuova normativa sia applicabile anche a tali enti, è necessaria la sussistenza – alternativa – di uno di tali criteri, a) il finanziamento maggioritario da parte della P.A., a favore dell‟ente; b) il potere di nomina dei titolari di cariche direttive ed amministrative, da parte dell‟ente pubblico. Tuttavia, al fine di non rendere priva di effetti la disciplina “de qua” con riferimento ai legittimati passivi del diritto di accesso civico, alla luce dell‟ampliata platea di soggetti nei cui confronti si può esercitare siffatto diritto, è necessaria una norma di coordinamento tra i vari decreti legislativi adottati dal legislatore delegato in attuazione delle deleghe di cui alla l. n. 124/2015, così da offrire un quadro normativo certo e ben delineato e privo di lacune.
5. I costi del diritto di ostensione civico.
Proseguendo nell’analisi delle novità apportate dallo schema di decreto adottato dal Governo, rileva l‟attenuata gratuità dell‟accesso civico, rispetto alla disciplina previgente dettata dal combinato disposto degli artt. 3 e 5, c.2. D.lgs. 33/13. Nella nuova formulazione del Decreto Trasparenza, bisogna scindere due ipotesi: la prima attiene alla mera fruizione (id est: esame) del documento; la seconda, invece, al rilascio di copie del documento oggetto dell‟istanza di accesso civico. In tal modo, il legislatore ha voluto equiparare la disciplina “de qua” a quella dell‟accesso in senso “classico” di cui all‟art. 22, l. n. 241/90. Difatti, mentre nel primo caso, l‟art. 3, c.1. stabilisce la gratuità della mera visione dei dati e documenti in possesso dell‟ente ed oggetto dell‟accesso civico, nella seconda fattispecie, l‟art. 5, c.3, il rilascio di copie, cartaceo o elettronico, dei dati o documenti in possesso della P.A., è assoggettato al rimborso delle spese effettivamente sostenute dall‟ente.
6. I controinteressati.
L‟esigenza di tutela della privacy ex D.lgs. 196/2003 di eventuali soggetti contro interessanti, si pone anche con riferimento al diritto di accesso civico. L’esigenza di bilanciamento tra il principio di trasparenza e pubblicità e quella di tutela della riservatezza, si coglie in modo esemplare nell‟art. 5, c. 4, D.lgs. 33/2013, così come introdotto dall’art. 6 dello schema di Decreto, secondo cui la P.A. ricevente l‟istanza di accesso ex art 5. se conseguentemente ad una valutazione discrezionale reputi che sussistano controinteressati – elencati ai sensi del successivo art. 5 – bis, c.2, comunica, a mezzo raccomandata andata – ritorno o, in alternativa, a coloro che abbiano acconsentito a tale forma di comunicazione, a mezzo pec, un avviso inerente l‟istanza di accesso civico, avverso la quale, entro il termine decadenziale di dieci giorni decorrenti dalla data di ricevimento della predetta comunicazione, potranno presentare motivata opposizione.
L’elenco dei soggetti controinteressati è contenuto nel citato art. 5- bis, c.2, Decreto Trasparenza. Si tratta di soggetti che possono vantare un interesse attinente: a) alla protezione dei propri dati personali, in osservanza al D.lgs. 196/2003; b) alla liberta e segretezza della propria corrispondenza intesa in senso lato, ex art. 15 Cost.; c) alla tutela di interessi commerciali ed economici di una persona fisica ovvero giuridica, compresa la proprietà intellettuale, il diritto d‟autore e i segreti commerciali. Sebbene l‟esigenza di tutela della riservatezza di eventuali soggetti controinteressati al diritto di ostensione civica, deve essere salutata con favore, in quanto, vengono predisposti strumenti di tutela posti a presidio di interessi di pari rango rispetto alla trasparenza (tra cui la riservatezza della corrispondenza). Nonostante ciò, la tutela degli interessi dei controinteressati desta alcune perplessità. Da un lato, infatti, non si può fare a meno di osservarsi l‟eccessiva platea di soggetti potenzialmente controinteressati al diritto di accesso civico, dall‟altro, l‟aggravarsi dei costi per la P.A., la quale, qualora non possa provvedere ad inoltrare l‟avviso ai controinteressati a mezzo pec, sarebbe costretta a rendere edotti tali soggetti dell‟istanza di accesso a mezzo raccomandata, con conseguente attenuazione dell‟esigenza di abbattimento dei costi e di una migliore efficienza della P.A.. Sul punto, tuttavia, è opportuno attendere le modifiche che verranno apportate al Codice dell‟Amministrazione Digitale, ex D.lgs. 82/2005, ad opera della delega conferita al Governo dalla riforma Madia e attuata con uno schema di Decreto, sottoposto allo studio del Consiglio di Stato per il proprio parere consultivo.
7. I limiti al diritto di ostensione civico.
La nuova formulazione del diritto di accesso civico non è esente da limitazioni.
Il nuovo art. 5 – bis del Decreto Trasparenza, così come risultante dalle modifiche apprestante dall‟art. 6, c. 2, prevede una serie di fattispecie ove può essere escluso l‟accesso civico. Si tratta di ipotesi poste a tutela di interessi pubblici particolarmente rilevanti (sicurezza nazionale, difesa e questioni militari ecc), e che poste in rapporto con il principio di trasparenza, risultano essere di rango superiore e richiedono, quindi, una tutela più accentuata rispetto all‟interesse sotteso alla richiesta di accesso civico. Come già chiarito “infra”, l‟accesso civico può essere rifiutato qualora sia pregiudizievoli per gli interessi dei privati attinenti: a) alla protezione dei propri dati personali, in osservanza al D.lgs. 196/2003; b) alla liberta e segretezza della propria corrispondenza intesa in senso lato, ex art. 15 Cost.; c) alla tutela di interessi commerciali ed economici di una persona fisica ovvero giuridica, compresa la proprietà intellettuale, il diritto d‟autore e i segreti commerciali. Infine vengono richiamate le medesime limitazioni previste dall‟art. 24, c.1, l. n. 241/90 (Segreto di Stato, procedimenti tributari ecc.. ). Le limitazioni sopra descritte sono in parte temperate dall‟istituto dell‟”accesso civico parziale” ex art- 5 – bis, c. 4, secondo cui, se limitazioni previste dai commi 1 e 2 dell‟art. 5 –bis concernono solo alcune parti del documento o del dato oggetto dell‟istanza di accesso, deve essere ugualmente consentita l‟ostensione della restante parte non soggetta a tali limitazioni.
8. La responsabilità dirigenziale.
L‟inadempimento degli obblighi di trasparenza, ai sensi dell‟art. 46 D.lgs. 33/2013, nella sua formulazione originaria, costitutiva elemento di valutazione per la responsabilità dirigenziale, ed integrava gli estremi dell‟illecito da cui conseguiva il danno all‟immagine della P.A., nonché elemento di valutazione sotto il duplice profilo della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alle performance individuali dei responsabili. Tuttavia, il responsabile era ritenuto esente da responsabile qualora fosse riuscito a dimostrare che la mancata osservazione agli obblighi dettati dal Decreto Trasparenza dipendesse da causa a lui non imputabile. Si trattava di una clausola di salvaguardia predisposta a favore dei dipendenti pubblici, i quali, provata l‟inimputabilità della causa inerente il mancato adempimento degli obblighi di trasparenza, gli stessi sarebbero stati ritenuti esenti da responsabilità. Ma allo stesso tempo si trattava di una “probatio diabolica”, alla luce dell‟oggettiva e soggettiva difficoltà di riuscire a dimostrare che la mancata osservanza di tali obblighi è dipeso da una causa eziologicamente non imputabile al dipendente pubblico.
Chiarito ciò, lo schema di decreto innova profondamente la disciplina della responsabilità dirigenziale consequenziale alla mancata osservanza degli obblighi di trasparenza, modificando l‟art. 46 citato. La prima modifica concerne la rubrica dell‟art. 46, la quale verrebbe significativamente modificata in ”Responsabilità derivante dalla violazione delle disposizioni in materia di obblighi di pubblicazione e accesso civico.” Tale modifica non è meramente linguistica, ma porta con sé risvolti pratici particolarmente rilevanti, ampliando il novero delle ipotesi di responsabilità dirigenziale. Infatti tale forma di responsabilità sussisterà non solo qualora vi sia stata la violazione di uno degli obblighi di pubblicazione disposti dal D.lgs. 33/2013 (com‟era previsto dalla disciplina originaria), ma anche in caso di violazione del diritto di accesso civico. Tali rilievi trovano supporto anche nella nuova formulazione dell‟art. 46, il quale prevede che, oltre all‟inadempimento degli obblighi di pubblicità, il rifiuto, il differimento o la limitazione del diritto di accesso civico, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, costituisce, e qui la disciplina rimane praticamente immodificata, elemento di valutazione per la responsabilità dirigenziale, ed “eventuale” causa di danno all‟immagine della P.A., nonché elemento di valutazione sotto il duplice profilo della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alle performance individuali dei responsabili, salvo che non provi che l‟inadempimento è dipeso da causa ad egli non imputabile. Con precipuo riferimento all‟”eventuale causa per danno all’immagine”, si rileva che, affinché la mancata osservanza degli obblighi di cui al D.lgs. 33/2013 possa sfociare in un danno all‟immagine per l‟ente, è altresì necessario che tale inadempimento integri, allo stesso tempo, gli estremi delle fattispecie che danno luogo a tale peculiare forma di danno, e tra cui vengono annoverate le disposizioni del codice penale previste dal Libro II – Titolo II – Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione.
9. Le. differenze con l’accesso classico ex art. 22, l. n. 241/90.
Con l‟entrata in vigore del D.lgs. 33/2013 è stato introdotto nel nostro ordinamento un duplice sistema di ostensione: l‟accesso tradizione, disciplinato dall‟art. 22, ss. l. n. 241/90; e l‟accesso civico ex art. 5 dD.lgs. 33/2013– nella sua nuova versione ampliata – che concerne i dati e i documenti in possesso della P.A., ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.
Una prima differenza tra le due forme di accesso si evince sul crinale soggettivo. L‟art. 22, c.1, lett. b) della l. n. 241/90 dispone che il diritto di accesso in senso classico possa essere esercitato da quei soggetti privati, compresi anche alle associazione rappresentative di interessi pubblici o diffusi, che siano titolari di un interesse diretto, concreto ed attuale all‟esercizio del diritto di ostensione e, corrispondente ad una situazione giuridicamente rilevante e meritevole di tutela strettamente collegata al documento di cui si chiede l‟accesso. Inoltre, la richiesta di accesso agli atti deve essere motivata, al fine di limitare l‟esercizio di un diritto finalizzato ad un controllo generalizzato della P.A.. In una prospettiva diametralmente opposta, si pone l‟accesso civico ex art. 5 D.lgs. 33/2013, il quale, sia nella formulazione previgente che in quella discendete dalle modifiche apportate dallo Schema di Decreto adottato dal Governo, la richiesta di accesso non richiede alcuna qualificazione e motivazione, per cui il richiedente non deve dimostrare di essere titolare di “un interesse diretto, concreto ed attuale e, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si chiede l’accesso”. Tuttavia, può invero accadere che un soggetto titolare di una posizione giuridicamente rilevante possa ottenere un‟adeguata soddisfazione dei propri interessi con l‟esercizio del diritto di accesso civico, sicuramente più vantaggioso rispetto all‟accesso tradizionale, dato che non necessita di motivazione rispetto alla richiesta di ostensione. Sul versante oggettivo, i limiti previsti dal nuovo art. 5 – bis, risultano “prima facie” più ampi e incisivi rispetto a quelli disposti dall‟art. 24, l. n. 241/90, consentendo alle amministrazioni di impedire l‟accesso civico nel caso in cui possa compromettere interessi pubblici particolarmente rilevanti. Ciò comporta che residueranno delle ipotesi – ancorché residuali – ove il soggetto – potrà accedere all‟accesso tradizionale, solo ove sussistano i requisiti “ex lege” prescritti, ad atti e documenti per i quali l‟accesso civico è precluso dalla sussistenza di una delle fattispecie preclusive e art. 5 – bis. Va da sé che in siffatto contesto, la richiesta di accesso classico ex art. 22 l. n. 241/90 necessiterà di un supporto motivazionale particolarmente esaustivo.
A cura di PIETRO ALGIERI

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