sabato 11 giugno 2016

Natura giuridica della SCIA alla luce della riforma Madia. Le implicazioni pratiche in tema di poteri amministrativi e tutela del terzo A cura di ANTONIA MACHEDA


La questione della natura giuridica della SCIA ha da sempre interessato il dibattito dottrinale: tuttavia, la problematica non è solo teorica.
Aderire alla tesi del modulo organizzatorio o a quella dell’atto amministrativo tacito significa, infatti, configurare diversamente il potere inibitorio spettante alla P.A. oltre che individuare una differente tutela per i terzi controinteressati.
La presente trattazione, partendo da una breve disamina delle recenti modifiche legislativi della SCIA, si soffermerà proprio sulle implicazione pratiche che derivano dall’adesione all’una o all’altra teoria sulla natura giuridica.
L’istituto della SCIA-DIA nasce a partire dagli anni novanta allorquando il legislatore, influenzato dalla normativa comunitaria in tema di concorrenza e libero mercato, ha iniziato un percorso di liberalizzazione delle attività private in attuazione dell’art. 41 Cost.; viene, così, introdotto il principio di autoresponsabilità del privato, passando da un controllo preventivo ad un controllo successivo della PA.
Le attività soggette a DIA erano dapprima limitate: l’istituto trovava, infatti, applicazione solo nelle materie individuate nella direttiva n. 123/2006 CE, cd Direttiva Servizi.
A partire dal 2005, dopo la trasformazione della DIA in SCIA, tale modulo semplificato è diventato un modello generalizzato: ai sensi del novellato art. 19 l. 1990 n. 241 trova, infatti, applicazione in vari settori, ivi compreso quello edilizio.
Da ultimo, la SCIA è stato oggetto di un’ulteriore modifica per effetto della legge n. 124 del 2015 (c.d. Legge Madia); tale normativa, per un verso, ha direttamente innovato l’art. 19 della l. 1990 n. 241 e, per altro verso, ha delegato il governo ad attuare una maggiore liberalizzazione e semplificazione in materia.
In virtù della citata delega, oggi è stato elaborato uno schema di decreto legislativo che ha ottenuto il parere favorevole del Consiglio di Stato nel marzo del 2016.
Come accennato, fin dalla sua introduzione, l’istituto è stato oggetto di un acceso dibattito in merito alla sua natura giuridica.
Per un verso, si è sostenuto che la SCIA fosse un provvedimento tacito della PA, formatosi a seguito del silenzio dalla stessa serbato in merito alla dichiarazione del privato.
In verità, attenta dottrina ha osservato che tale teoria non può essere seguita: la SCIA, infatti, si configura quale atto privato e modulo organizzatorio che trova la su legittimazione direttamente nella legge.
Non c’è, quindi, alcun provvedimento amministrativo tacito: c’è solo una dichiarazione del privato che, in caso di mancato esercizio del potere inibitorio della PA, diviene titolo legittimante ex lege.
La tesi privatistica, inoltre, trova conferma anche da un’attenta analisi della legge 241/1990: se la SCIA fosse un provvedimento tacito, non avrebbe senso collocarla al di fuori dell’art. 20, che disciplina proprio il silenzio assenso.
Tale orientamento è stato recepito anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15 del 2011 oltre che dal legislatore del 2011; quest’ultimo, tuttavia, come vedremo meglio più avanti, si è discostato dal Supremo Consesso in ordine alla tutela configurabile per il terzo controinteressato.
Il dibattito sulla natura giuridica ha inciso, inoltre, sulla problematica configurazione dei poteri amministrativi spettanti all’amministrazione.
Con la SCIA, infatti, il privato può iniziare immediatamente l’attività segnalata, fermo restando il controllo successivo della PA in ordine alla conformità a legge. Nella previgente disciplina del 2014, in particolare, l’amministrazione poteva, nei sessanta giorni successivi alla segnalazione, esercitare i poteri inibitori o conformativi. Tuttavia, decorso inutilmente tale termine, la PA poteva intervenire solo in caso di pericolo di danno dei c.d. “interessi sensibili” e previo motivato accertamento dell’impossibilità di conformazione; restavano fermi, in ogni caso, i poteri di autotutela ex artt. 21 quinquies e 21 nonies legge 1990 n. 241 nonché il generale potere sanzionatorio ex art. 21 della citata legge. Con la Legge Madia del 2015 n. 124, vengono innovati i poteri amministrativi spettanti alla PA in sede di controllo successivo: ai sensi del novellato art. 19 legge 1990 n. 241, l’amministrazione, nell’esercizio del potere conformativo, può indicare al privato finanche le misure da adottare.
Ai sensi del comma quarto, poi, decorso il termine dei sessanta giorni, i poteri inibitori non sono preclusi: l’amministrazione può adottare i provvedimenti di cui al comma terzo anche se sono scaduti i termini e purchè vi siano le condizioni per l’annullamento ex art 21 nonies.
Inoltre, la riforma Madia ha introdotto un “nuovo paradigma” nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione: all’art. 21 nonies ha previsto, infatti, un nuovo termine di diciotto mesi per l’esercizio dell’autotutela da parte dell’amministrazione.
Si è avvertita dunque, l’esigenza di tutelare l’affidamento del privato: i poteri ex post della PA devono avere un limite, anche alla luce dei principi di accessibilità e prevedibilità delle norme sanciti dalla giurisprudenza Cedu.
La previsione di tale termine, tuttavia, crea qualche esigenza di coordinamento: per come rilevato nel citato parere del Consiglio di Stato, vi è innanzitutto l’incertezza di determinare il dies a quo per la decorrenza dei diciotto mesi oltre quella di delimitare la fattispecie derogativa di cui al comma secondo bis dell’art. 21 nonies legge 1990 n. 241.
Inoltre, ci si chiede se il citato termine di diciotto mesi debba applicarsi o meno anche all’intervento in caso di dichiarazioni mendaci ex art 21, comma primo, e se si applichi anche a provvedimenti che non siano formalmente definiti di “annullamento”.
Su tali problematiche, il Consiglio di Stato auspica un maggiore coordinamento da parte del legislatore delegato.
Alla luce di quanto detto, appare evidente come la recente riforma Madia abbia confermato la tesi privatistica del modulo organizzatorio: ciò lo si desume dal comma quarto dell’art 19 legge 1990 n. 241, che prevede la possibilità di configurare i poteri inibitori anche dopo i sessanta giorni.
Viceversa, se la SCIA fosse un provvedimento tacito, i poteri inibitori della PA sarebbero esauriti con la formazione del silenzio assenso. Da ultimo, la natura giuridica della SCIA rileva anche al fine dell’individuazione della tutela da accordare al terzo controinteressato.
Se, infatti, la SCIA fosse un atto amministrativo tacito, il terzo potrebbe solo sollecitare l’esercizio dei poteri inibitori e, in caso di inerzia, attivare la procedura avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 cpa. In tal modo, però, la tutela del terzo sarebbe minimale: l’azione ex art. 31 ha per oggetto solo l’accertamento dell’obbligo di provvedere della PA.
Il giudice, quindi, non può esercitare i poteri inibitori di competenza dell’amministrazione, pena violazione dell’art. 34, c. 2 cpa: non può, quindi, bloccare l’attività illecita del privato.
Inoltre, vi sarebbe il problema delle misure cautelari ante causam: se la SCIA fosse un provvedimento tacito, non sarebbe possibile richiedere la tutela ante causam prima della formazione del silenzio significativo: non essendovi ancora un provvedimento, non vi potrebbe essere lesione del terzo.
Con la tesi del modulo organizzatorio, invece, il terzo gode di una tutela piena: è questa la prospettiva sposata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15 del 2011.
Secondo il Supremo Consesso Amministrativo, infatti, il terzo potrà avvalersi, oltre che dell’azione avverso il silenzio, anche dell’azione atipica dichiarativa.
Con tale azione atipica, ammissibile in virtù del principio dell’atipicità della tutela amministrativa, il controinteressato può avere una tutela ante causam, anche di tipo cautelare: alla scadenza dei sessanta giorni, infatti, l’azione di accertamento si convertirà automaticamente in azione di annullamento ex art 29 cpa.
Il terzo, contestualmente, potrà richiedere la condanna ex art. 30 cpa: in questo modo, egli potrà godere della tutela reale che gli è preclusa con l’azione avverso il silenzio.
L’impostazione dell’Adunanza Plenaria non è stata, però, condivisa dal legislatore del 2011: con la novella legislativa, infatti, non è accordabile alcuna tutela reale al controinteressato il quale potrà esperire solo l’azione avverso il silenzio, ai sensi del comma 6 ter dell’art. 19 legge 1990 n. 241.
Il problema della tutela del terzo è ancor più attuale alla luce della riforma Madia del 2015: la tutela avverso il silenzio di cui al comma 6 ter contrasta con il novellato comma quarto dell’art. 19 che riconosce alla PA l’esercizio dell’inibitoria anche dopo la scadenza dei sessanta giorni.
Si auspica, quindi, un maggiore coordinamento della disciplina ad opera del legislatore delegato.

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