lunedì 18 giugno 2012

Rinuncia ai crediti da parte dei soci rilevante ai fini ACE di Victor Di Maria


L'effetto prodotto dall'accantonamento delle imposte nei bilanci delle società di capitali spesso produce un risultato economico in perdita. Per recuperare tale perdita le società ricorrono all'utilizzo del meccanismo della rinuncia da parte dei soci ai propri crediti maturati nei confronti della società. 

Tale meccanismo consente alla società di ottenere una ricapitalizzazione indiretta, sotto diversi profili: maggiore patrimonializzazione, compensazione di perdite rilevanti ex artt. 2482-bis e ter c.c. per le srl e 2446-2447 c.c. per le spa e infine, laddove possibile, utilizzabilità del conferimento ai fini della fruizione del nuovo beneficio ACE (Aiuto alla Crescita Economica).

Il Decreto 14 marzo 2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze recante disposizioni di attuazione dell’articolo 1 del DL n. 201/2011 concernente l’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) all’art. 5, comma 2, prevede, nello specifico, la rilevanza della rinuncia incondizionata dei soci ai  crediti societari e vengono accolti come elementi positivi della variazione del capitale. Tale beneficio si ha anche nel caso di compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale.

La relazione di accompagnamento al Decreto prevede che possano avere valenza ai fini del beneficio ACE soltanto i crediti di natura finanziaria (ad esempio, finanziamento da parte di soci).

Molto puntuale è l’analisi fatta da Assonime in merito al caso delle rinunce a crediti da parte dei soci, sia di natura commerciale sia di altra natura. A questo proposito, la circolare dell’Associazione sottolinea come l’esclusione di tali fattispecie dal novero degli apporti in denaro non sempre implichi la loro totale irrilevanza ai fini dell’ACE. Potrebbe, infatti, accadere che la rinuncia al credito commerciale da parte di un socio venga contabilizzata tra le sopravvenienze attive dell’esercizio in cui si perfeziona la rinuncia. Va da sé che tale componente positivo di reddito confluirà nel risultato dell’esercizio che, se accantonato a riserva, concorrerà alla formazione della base di riferimento dell’agevolazione ACE. E' del tutto pacifico, infatti, che la rinuncia del socio al suo credito vantato nei confronti della società va a beneficio di tutti i soci.

La risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 152/2002 ha precisato che, nel caso di rinuncia a un credito commerciale da parte di un socio nei confronti della società, non scatta alcuna sopravvenienza attiva in capo a quest’ultima, in quanto la rinuncia non ha alla base uno spirito di liberalità o una remissione del debito da parte di un terzo, bensì la volontà del socio di patrimonializzare la società. Tale condivisibile interpretazione di matrice fiscale chiarisce bene che, anche ai fini civilistici, la contropartita della rinuncia al credito non possa che essere una riserva del patrimonio netto. In base a tale impostazione contabile viene, però, sacrificata la potenziale agevolazione ACE.

L'Assonime delinea altre fattispecie e, volendo ancora allargare la rosa delle possibilità concrete, potremmo parlare anche del caso della rinuncia, a fondo perduto o in conto capitale, a crediti maturati da parte del socio-amministratore nei confronti della società per compensi quale amministratore, per trattamento di fine mandato, e così via.

In questi casi la situazione si complica e non di poco. Infatti, da un lato, le predette fattispecie non configurerebbero base riferimento ACE perché non derivanti da precedenti versamenti fatti dai soci e, dall’altro, il socio rinunciante potrebbe essere chiamato a dichiarare i redditi derivanti dalla rinuncia al credito nei confronti della società.
Voglio ricordare, per tale fattispecie, la C.M. n. 73 del 27 maggio 1994 la quale ha previsto che la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti soci, il trattamento di fine mandato) presuppongono “l’avvenuto incasso giuridico” del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare anche mediante l’applicazione della ritenuta d’imposta.

Il presupposto giuridico su cui si fonda la ragione dell’Agenzia delle Entrate è l’art. 88, comma 4, del TUIR che testualmente recita: “Non si considerano sopravvenienze attive […] la rinuncia dei soci ai crediti”. A fronte di tale beneficio per la società (che sottende a una finalizzazione della rinuncia al credito da parte del socio allo scopo di patrimonializzare la società), il socio vedrebbe accrescere il valore fiscalmente riconosciuto alla propria partecipazione ai sensi dell’art. 94, comma 6 del TUIR e del chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la propria circolare n. 52/2004.

La Cassazione, con la sentenza n. 20026/2010, richiamando implicitamente quanto asserito dal Ministero con la richiamata risoluzione, ha stabilito che la rinuncia a compensi maturati e non erogati comporta tassazione in capo al rinunciante. Ulteriore motivazione addotta è che si tratterebbe, in realtà, di utili di fatto non distribuiti.
La presunzione dell’incasso giuridico è stata, comunque, contrastata da altra parte della giurisprudenza (C.T.C., Sez. XIV del 22 aprile 1998 n. 2085; C.T.C., Sez. XIV del 10 novembre 1997 n. 5425).

Concludendo, nei casi di rinuncia da parte di un socio-amministratore a compensi o TFM maturati e non corrisposti, l’unico modo per poter beneficiare indirettamente dell’agevolazione ACE sembrerebbe quella di contabilizzare la rinuncia al credito in contropartita della voce sopravvenienze attive del Conto economico, scontando così uno sfasamento temporale rispetto all’esercizio in cui la rinuncia viene effettuata e non applicando le indicazioni del principio contabile OIC 28 che indicherebbe un transito diretto nel patrimonio netto.
Dott. Victor Di Maria

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